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Giornalismo tra filosofia, teologia e quotidianità

Pubblicata il:  13 Giugno 2022



Nell’ultimo incontro del Corso di alta Formazione in “Giornalismo ed etica” tenuto sabato 4 giugno, dopo la condivisione dei partecipanti che hanno portato all’attenzione degli altri le proprie opinioni sulla prima edizione del Corso, con l’obiettivo di focalizzare aspetti organizzativi e di contenuto, importanti parole sono state spese da Marco Cardinali, teologo, giornalista e scrittore, con svariati incarichi in Università pontificie, cronologicamente ultimo tra tutti quello di Direttore della Editrice LAS – Libreria Ateneo Salesiano. Partendo dal linguaggio che Dio ha usato per comunicare con l’uomo nella storia della salvezza, il primo insegnamento ricevuto riguarda senz’altro l’essere vicini all’altro, con tutti i cinque sensi. Cardinali ha definito “materico” il mestiere di giornalista, perché solo andare a vedere, immergendosi nell’ascolto, può fare la differenza a condizione che si vada oltre la preparazione tecnica, sia pure importante. Nell’era della post-modernità i telegiornali sono strutturati come uno show, con il principale obiettivo della seduzione, dove le immagini, frammenti di vissuto, vengono montate ad arte. I media mainstream propongono un modello di benessere a tutti i costi, dove la meta è quella della soddisfazione immediata di bisogni di ogni tipo. Non c’è spazio per la riflessione che può essere provocata da situazioni di sofferenza, perché ciò che conta è solo star bene! In questa corsa si perde di vista l’altro, che viene oggettivato, piegato ai propri ‘desiderata’, disumanizzato, ma nello scambio si perde di vista se stessi, perché è solo nell’accoglienza della diversità dell’altro che possiamo riconoscere l’unicità propria di ogni essere umano. “Espelliamo l’altro senza neanche accorgercene” ha affermato Cardinali, mentre comunicare presuppone l’incontro delle persone nel loro contesto vitale. Non si stanca di affermarlo Papa Francesco dall’inizio del suo pontificato “C’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana. I rapporti digitali, che dispensano dalla fatica di coltivare un’amicizia, una reciprocità stabile e anche un consenso che matura con il tempo, hanno un’apparenza di socievolezza. Non costruiscono veramente un “noi”, ma solitamente dissimulano e amplificano lo stesso individualismo che si esprime nella xenofobia e nel disprezzo dei deboli. La connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità” (Fratelli tutti n.43). E ancora, nel Messaggio per la 55ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2021 “Se non ci apriamo all’incontro, rimaniamo spettatori esterni”. E, dopo l’incontro, l’ascolto “con l’orecchio del Cuore”, nel Messaggio di quest’anno, per la 56ma giornata. L’accelerazione spazio-temporale della vita sociale, tipica della nostra società “liquida”, ci impone una incredibile e continua novità di situazioni, che non riescono a trasformarsi nella più piccola delle abitudini, mentre il nostro corpo, la nostra mente ha bisogno di tempo per comprendere fatti, storie, opinioni, pensieri. Ciò che la Regola di San Benedetto nella Costituzione C. 21 chiama bisogno di “ruminare”, che nella tradizione monastica è un modo usato per indicare il lento lavorio di appropriazione delle parole, è un lavorio necessario all’essere umano che voglia essere consapevole di sé, delle sue scelte e del momento storico che sta vivendo. Quando il messaggio non ha neppure il tempo di arrivare a destinazione non si può certo parlare di comunicazione che, per essere efficace, deve essere a due vie, presupponendo un feedback che, invece, viene negato all’origine. La cultura dell’adesso o mai più che si sta radicando, incidendo pesantemente sulla vita delle persone, impedisce non solo la possibilità di riflettere, ma anche di coltivare la calma e la pazienza, virtù importanti per la salute mentale e spirituale di donne e uomini di ogni generazione. È un autoinganno quello in cui si rischia di finire tutti, se non si recupera il senso vero dell’esistenza umana, la bellezza della comunicazione e il valore insito nei riti che hanno caratterizzato la storia dell’uomo, anche quello più banale, come la lettura del quotidiano cartaceo, facendo colazione al mattino.

Vincenza Spiridione
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