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Titus Brandsma, un mistico immerso nella storia

Pubblicata il:  13 Luglio 2022



Beatificato nel 1985 da San Giovanni Paolo II e canonizzato da Papa Francesco il 15 maggio 2022, Titus Brandsma morì nel campo di concentramento di Dachau il 26 luglio del 1942. Vi fu deportato dopo aver subito il carcere a Scheveningen e le durissime condizioni del campo penale di Amersfoort. Visse un breve periodo di sollievo al campo di smistamento di Kleve, in Germania, dove, mentre i suoi superiori ecclesiastici cercavano di trasformare la sua condanna in domicilio coatto, poté dedicare buona parte della giornata alla vita spirituale. Vani furono tutti i tentativi di salvarlo e, il 13 giugno del ’42, iniziò quel lungo viaggio fino a un campo di concentramento tra i più temibili, a bordo di un carro bestiame con molti altri prigionieri. La sua ferma opposizione al nazionalsocialismo, la sua determinazione nel contrastare il nazismo, condividendo pubblicamente le sue critiche a quelle teorie da lui ritenute “antiumane”, avendone ben presto compreso i pericoli per l’umanità intera e l’assoluta inconciliabilità con il cristianesimo e la Chiesa cattolica, gli costarono la vita. Da sacerdote carmelitano e professore di storia e filosofia della mistica presso l’Università Cattolica di Nimega, Titus, che fu anche scrittore, ecumenista, conferenziere e giornalista, non poté rimanere indifferente di fronte ai rischi prefigurati da un’ideologia che si avvalse del pensiero di Friedrich Nietzsche per giustificare ogni sorta di abominio mirato all’annientamento dell’essere umano. Con coraggio difese non solo gli ebrei e quanti furono perseguitati da Hitler per razza, sesso, ideali, ma fu paladino della libertà di tutti gli esseri umani in quanto persone. Provò perfino a far riflettere i gerarchi nazisti sul fatto che sopprimere uomini e donne non fosse un atto di forza, bensì di debolezza e vigliaccheria, magari auspicando un ripensamento. Difese l’autonomia della Chiesa e fu grande il suo impegno per la libertà di stampa, quando il regime nazista voleva usare i giornali cattolici per diffondere le proprie teorie. In qualità di assistente ecclesiastico dell’Associazione dei giornalisti cattolici olandesi, con l’incarico di seguire una trentina di testate, meritando la tessera internazionale di giornalista, Padre Titus scrisse di suo pugno la lettera circolare ai giornali cattolici affinché non cedessero alle lusinghe del Terzo Reich, o anche soltanto alla paura delle conseguenze. La stampa per lui era l’unica forza contro la violenza e ne rivendicava la libertà, perché per lui la parola era la forza della lotta per la verità. Gli stavano a cuore i fratelli e le sorelle, perché viveva una relazione profonda con Cristo, che lo rendeva saldo nei suoi intenti, presente in ogni sua esperienza vissuta con coraggio e profonda umanità. Era un mistico, San Tito Brandsma, come dev’essere un vero cristiano, uno che sta con gli occhi aperti sul mondo, per dirla con il teologo cattolico tedesco Johann Baptist Metz, già discepolo di Karl Rahner, ma squisitamente in linea con la visione che Papa Francesco descrive nei suoi messaggi ai giornalisti di oggi che prima di predisporsi all’ascolto con l’orecchio del cuore (2022) devono consumare le suole delle scarpe per andare a vedere. Nell’esortazione del Beato Manuel Lozano Garrido riportata da Papa Francesco in premessa al Messaggio per la 55ma giornata per le comunicazioni sociali 2021 c’è l’invito ad aprire gli occhi con stupore, in modo che i lettori possano toccare con mano “il miracolo palpitante della vita”, perché la Parola, il Verbo che si è fatto carne è nella storia dell’uomo, proprio come ci ha fatto capire Gesù, che, a chi gli chiede dov’è la sua casa, invita a seguirlo perché la sua casa è ovunque ci sono altri da incontrare, altri da accompagnare, altri a cui far sentire la presenza amorevole di Dio. Quando Titus Brandsma esercitava la sua attività di giornalista era ampiamente diffusa l’immagine di un Dio assoluto e lontano, ma il Santo nei suoi discorsi pubblici mostrava un Dio vivo nella storia, da adorare in tutto ciò che esiste, nel volto del prossimo, ma anche nella natura, nell’universo, un Dio da imitare in quanto esseri umani, creati a Sua immagine e, per il Santo, addirittura in grado di generarLo, come Maria. Un mistico dalla profonda libertà interiore, tanto ancorato a Gesù da proseguire il suo cammino con coraggio, certo del valore insito nelle sue posizioni rispetto al nazismo, capace di andare controcorrente al costo di perdere la vita. Avrebbe potuto continuare a insegnare e in Olanda probabilmente nessuno lo avrebbe disturbato ma è voluto uscire allo scoperto per uno spirito di “correzione fraterna” che ha tentato di attuare anche verso i suoi persecutori. Un Santo che nella prigione di Scheveningen pregava così: “Quando ti guardo, Gesù, comprendo che Tu mi ami come il più caro degli amici. E sento di amarti come il mio bene più grande”.
 
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